venerdì 11 dicembre 2009

Camaleontismo da sopravvivenza


L'altro giorno passeggiavo con la testa piena di pensieri per le varie vie della città, quando ad un certo punto - forse proprio in virtù dell'estraniazione dal reale provocata dalle mie elucubrazioni - mi si è svelata davanti agli occhi l'immagine di una cosa solitamente talmente visibile da passare inosservata: il colore del paesaggio.

Ebbene, d'un tratto ho capito: l'uomo tende sì a dominare la scena, a vivere la sua esistenza da rimodellatore della natura, ma profondamente non se ne sente "altro". Si sente parte integrante del suo habitat e, se non lo è, diventa per lui motivo di sfida rientrare nella "normalità". In quello che – dall'altro lato della medaglia – potrebbe essere visto come "anonimato".
L'anonimato, fatto di tanti pezzetti uguali e indistinguibili, fatto di facce vuote, di colori dal basso contrasto, di vita col limitatore di velocità, è pure una condizione essenziale dell'esistenza di (quasi) tutti gli individui, che sarebbero altrimenti impossibilitati a riconoscersi in sé come se stessi. Come se una violenta individuabilità potesse causare (e in effetti se pensiamo a tanti personaggi famosi sembra essere così) una perdita di identità, di intimità con la propria persona, una insopportabile nudità sociale. Uniformarsi quindi non solo con chi ci circonda, ma con l'ambiente stesso per diventare pacificamente invisibili, comfortably numb ad agio del proprio Io. "Essere" anonimi e se stessi piuttosto che "apparire" vivendo altre identità confusionariamente.
Anche gli "alternativi" seguono questa regola, aderiscono al gruppo degli alternativi e in esso cercano di sparire. I pochi che hanno rotto una regola sono uomini dallo spiccato carisma, il cui marchio (dal terrificante peso) ci rimane impresso ancora oggi.

In sostanza, mi sembra di essere in una scatola di Lego. L'uomo però non è più quello che dispone e monta i pezzi, ma uno degli omini, tutti uguali, tutti funzionali al paessaggio.

Ed è questo il motivo, a mio avviso, per il quale qui d'inverso in Svezia ci si veste di nero e grigio, mentre d'estate in Africa abbondano le sfumature sgargianti. Per il nostro innato e benedetto camaleontismo da sopravvivenza.


Ma forse ho detto solo un sacco di cazzate... :D

4 commenti:

  1. Omologarsi all'ambiente circostante e agli usi locali è una basilare regola di sopravvivenza, in effetti.
    Ricordo perfettamente quando venni trasferito dal CAR alla caserma di destinazione. Era un altro mondo, con nuove regole, scritte e non scritte... soprattutto non scritte. Ero molto a disagio e mi sentivo addosso gli occhi di tutti. Poi capii perché: non avevo ancora messo le mostrine sul colletto, e avevo solo le stellette da recluta. Me le misi subito, e divenni uguale e centinaia di altri soldati, "mimetizzandomi" in una rassicurante omologazione.
    Perché, in certi casi, non emergere è più consigliabile.

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  2. No, non hai detto un sacco di cazzate! :-)
    Succede anche qui, ti assicuro....sapessi la gente che vedo che cerca di non "emergere" e tiene sempre un profilo basso...non so se è un segno dei nostri tempi o se significa qualcosa di più profondo...ma è così...un bacio dalla caotica Roma!

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  3. No, non sono per niente cazzate!

    Da qualche mese al lavoro ci hanno dato una divisa: da un lato gli "altri" ci identificano subito, dall'altro questa identificazione non identifica null'altro che il fatto che siamo come "anonime periferiche".
    Persino il cartellino con il nome proprio serve a identificare questa "non identificazione-alienazione".
    :( no me pias, ma pazienza


    Collaterale: mi hai anche fatto venire in mente una mia vecchia idea sui colori del mondo..
    Quel qualcosa che proviene dal tipo di suolo e dal clima locale. In fondo, su un "terreno fertile" potranno crescere alcuni tipi di piante, che saranno mangiate da alcuni tipi di animali, che saranno usate per farci delle tinte di tessuti..eccetera

    Ciao Matteo,
    Silvia B

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  4. conformarsi a uno standard relazionale non significa autocastrarsi però. Significa a mio parere riconoscere che per coltivare bene la propria identità serve una rete di feedback con altri, riconosciuti tramite l'affinità di codici, di standard. Ci si capisce se si è coinvolti e catalogati. Ci si smarrisce se nessuno può giudicarti. C'è insomma sia un atteggiamento passivo (l'omlogazione) sia attivo (la formazione tramite feedback).

    Alce

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